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[COMUNICATO STAMPA]
DON BOSCO 2000: Focalizzarsi sui rimpatri è un errore strategico. Facciamo appello a Giorgia Meloni affinché affronti in modo concreto e tempestivo il tema delle migrazioni dalla Libia.
“Focalizzarsi sui rimpatri è un errore strategico: sono irrealizzabili sotto il profilo della gestione e ledono i diritti umani delle persone che hanno rischiato di morire per arrivare in Europa. Chiediamo a Giorgia Meloni di focalizzarsi sulla Libia, che rischia di esplodere da un momento all’altro. Le violazioni dei diritti umani perpetrate in territorio libico sono reali, e realistica deve essere la risposta che attendiamo da uno Stato civile”.
Questo è il commento di Agostino Sella, presidente dell’Associazione don Bosco 2000, impegnata
da anni nell’accoglienza in Italia e con missioni nei paesi sub-sahariani. Continua Sella: “In questo momento la Libia è una vera e propria polveriera. Ci sono due governi che si combattono, decine di milizie che fanno capo alle tribù, interessi economici di paesi che cercano di portare acqua al proprio mulino, tra cui la Turchia che ha preso la gestione del porto di Misurata per 99 anni. In Libia ci sono la maggior parte dei 700 mila migranti che si trovano sulle coste del nord Africa e aspettano il momento migliore per attraversare il Mediterraneo. Se in Libia scoppia la miccia tutto diventa ingovernabile e l’Italia si troverà a gestire non 90 mila sbarchi come quest’anno ma 300 o 400 mila. Il governo di Giorgia Meloni, piuttosto che attaccare le ONG, dovrebbe lavorare insieme a loro, soprattutto con quelle presenti il Libia, aumentare il suo impegno politico e di rappresentanza nel paese, e diventare punto di riferimento dei diversi attori presenti sul territorio. Insistere sui rimpatri significa, invece, creare caos in Italia e generare decine di migliaia potenziali latitanti in giro per il paese, latitanti con la sola colpa di essere arrivati in Italia con il sogno di una vita migliore”.
Catania 4 dicembre 2022
Ufficio Stampa Don Bosco 2000 info@demma.demmalight.xyz
PS. Sulle condizioni in Libia alleghiamo il report di Don Bosco 2000, scritto da Beatrice Gornati, che fotografa la situazione in questo momento nel paese nordafricano, estratto dalla rivista Migrazioni.

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FOCUS LIBIA
Detenuti senza giusta causa. Maltrattati. Sfruttati. Stuprati. Uccisi. Sono quasi 700mila i migranti, di cui gran parte si trova in Libia, che attendono di partire dal Nord Africa per raggiungere l’Europa, l’Italia. La stessa Italia che il 2 novembre ha rinnovato automaticamente, per altri tre anni, il Memorandum of Understanding (MoU) con la Libia.
A seguito di questo patto dal 2017 ad ottobre 2022 quasi 100.000 persone sono state intercettate in mare dalla guardia costiera libica e riportate forzatamente in Libia, un paese che non può essere considerato sicuro. Un Paese che non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951, e le cui leggi nazionali, senza distinguere tra rifugiati, vittime di traffico o altre persone bisognose di protezione internazionale, prevedono il carcere e i lavori forzati, o il pagamento di 1000 dinari libici, per i migranti illegali, i quali, una volta emessa la sentenza, vengono espulsi dal Paese.
Nell’ottobre 2021 racconta MSF nel suo rapporto “Out of Libya” le milizie di Tripoli, formalmente sotto l’egida del Governo di Unità Nazionale, hanno perpetrato l’arresto di massa di un numero tra i 5mile e i 7mila migranti, rifugiati e richiedenti asilo, che sono stati trasferiti nei centri di detenzione. Durante l’arresto almeno una persona è stata uccisa e quindici sono state ferite. Un massacro che ha avuto un seguito ancor più tragico quando gruppi di migranti detenuti hanno cercato di evadere dal disumano carcere di al-Mabani: le guardie hanno sparato e ucciso più di quaranta persone. Nel gennaio 2022, a seguito di un sit-in organizzato dai migranti davanti all’ufficio dell’UNHCR a Tripoli, almeno 1000 persone sono scomparse e altre 600 arrestate.
Secondo quanto riportato dalle testimonianze di organizzazioni non governative e gruppi di ricerca presenti nel territorio libico, è estremamente complicato ottenere il numero esatto di centri di detenzione in Libia, in parte perché il Department for Combating Illegal Migration, del Ministero dell’Interno libico, ne ha chiusi diversi nel corso degli ultimi anni, e in parte perché molti dei centri sono difficilmente accessibili da parte delle OIM e UNHCR, in particolare nella parte est del Paese. Non disponendo la Libia di un “catalogo” dei centri di detenzione governativi, occorre basarsi sui numeri, in difetto, offerti da UNHCR, che ne ha contati trentatré attivi, o dal Displacement Tracking Mechanism di OIM che, dal 2017 ad oggi, ha contato venticinque centri governativi attivi, nove chiusi di recente, diciotto inattivi e due in corso di manutenzione. Nell’aprile del 2018, l’UNHCR ha dichiarato che i partner locali avevano accesso regolare solo a diciannove centri, mentre quattro erano inaccessibili: si tratta dei centri di Jufra-Al-Hun, Shati, Ghat e Al-Qatrun, tutti situati nella parte a sud della Libia e inaccessibili per ragioni di sicurezza non specificate. È interessante notare, poi, che nel 2018 (fino al mese di aprile), l’UNHCR era stato in grado di condurre 493 visite di monitoraggio a livello nazionale, contro le 1080 visite nel 2017 e le 825 nel 2016.
Occorre precisare, inoltre, che i centri visitati dalle organizzazioni internazionali appartengono al gruppo dei centri formalmente e di fatto governativi. Infatti, sul territorio è presente un numero imprecisato di centri “ibridi”, formalmente governativi ma di fatto gestiti dalle milizie (kata’ib). Vi
sono, poi, le strutture gestite dai gruppi criminali che sono utilizzate per alloggiare i migranti lungo il percorso, per chiedere i riscatti alle famiglie dei migranti o per estorcere denaro. Un aspetto particolarmente problematico riguarda la mancanza di centri governativi di detenzione specificamente rivolti alle donne e ai bambini, sebbene alcuni di essi prevedano aree separate per donne e minori. Secondo le testimonianze raccolte da Amnesty International, le donne sono particolarmente vulnerabili agli abusi e ai maltrattamenti nei centri di detenzione, soprattutto in assenza di guardie carcerarie di sesso femminile, ma non vengono riconosciute, così come i minori, come gruppi bisognosi di protezione particolare.
Per quanto riguarda i migranti che, a seguito degli accordi tra Unione europea e Libia, vengono intercettati dalla Guardia Costiera libica, poco si sa circa gli standard di protezione che vengono loro applicati e i luoghi in cui vengono alloggiati. IOM e UNHCR hanno mantenuto, fino ad ora, delle postazioni in 16 aree di sbarco lungo la costa libica occidentale, tra Zuwarah e Misurata, dalle quali poi i migranti irregolari vengono spostati nei centri di detenzione governativi. Secondo quanto riferito da Amnesty International, tuttavia, all’UNHCR è consentito condurre solo una valutazione preliminare degli standard di protezione, senza poter monitorare il trasferimento dei singoli dal luogo di sbarco ai centri di detenzione.
Una situazione di estrema gravità che si inserisce in un contesto di instabilità politica al limite. Due governi, entrambi deboli: quello di Tripoli del premier Dbeibah è scaduto a giugno 2021 e non riesce a indire nuove elezioni; quello di Tobruk, affidato a Bashagha, non è riconosciuto dalle Nazioni Unite.
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