Il concetto di integrazione degli stranieri nel territorio di immigrazione racchiude in sé molteplici sfaccettature. Si tratta di un processo esteso nel tempo, mai del tutto irreversibile, complesso e multidimensionale. Le variabili che possono influire sulla riuscita sono svariate: le fasi storiche in cui le migrazioni avvengono, i tessuti sociali che si intrecciano, nonché i fenomeni imprevisti a livello globale. Diverse istituzioni hanno contribuito nel tempo a definire in maniera più chiara il termine “integrazione”. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) misura il grado di integrazione tramite i risultati economici e sociali ottenuti dagli immigrati relativamente a quelli dei cittadini autoctoni. Eurostat, nel suo rapporto “Migrant Integration Statistics” del 2020, introduce quattro “indicatori di integrazione”: l’occupazione lavorativa, l’educazione, l’inclusione sociale e la cittadinanza attiva.
Ancora più complessa è la definizione fornita da Istat nel 2018, che individua cinque dimensioni rilevanti. La prima è quella politica, che comprende fattori come il desiderio di diventare cittadini italiani, la partecipazione alla vita pubblica, ma anche l’interesse per l’attualità. La seconda variabile è quella economica, ovvero le condizioni lavorative, la regolarità del lavoro, la ricerca del lavoro in caso di disoccupazione, nonché la percezione della propria condizione lavorativa.¹ La terza variabile è sociale ed include la percezione di essere rispettati e non discriminati, ma anche la partecipazione ad attività di volontariato. La quarta dimensione è culturale e si riferisce al consumo di cibo, media e cultura italiani e ad un generale apprezzamento per quest’ultima. La quinta è la variabile linguistica, più specificamente legata alla conoscenza ed uso della lingua italiana. Per quanto discostanti tra loro, le proposte di tutte le istituzioni sopra menzionate comprendono la dimensione economica quale base per il sostentamento materiale e per l’emancipazione all’interno del tessuto sociale nel quale lo straniero si vuole integrare. Il deterioramento del mercato del lavoro a seguito della pandemia, che ha colpito duramente gli immigrati facendone salire il tasso disoccupazione in maniera notevolmente maggiore rispetto ai nativi, con uno scarto tra i due gruppi che ha raggiunto il livello più alto dalla crisi economica del 2007/08, ha visto un’inversione di tendenza nell’anno 2021. Secondo quanto riportato dal XXII Rapporto Annuale sul “Gli stranieri nel mercato del lavoro on Italia” del Ministero del Lavoro,² infatti, gli occupati stranieri sono 2,3 milioni, il 10% del totale degli occupati. Il tasso di occupazione è al 57,8% (58,3% quello degli italiani), la disoccupazione al 14,4% (9% tra gli italiani), l’inattività al 32,4% (35,9%). Tra i settori con la più alta incidenza di occupati stranieri, si segnalano Agricoltura (18,0% del totale degli occupati), Costruzioni (15,5%) e Alberghi e ristoranti (15,3%). È però in Altri servizi collettivi e personali che la quota di lavoratori stranieri è più elevata: 34,3%. I dati, d’altro canto, sono la riprova che, nel corso degli anni, ma ancora di più quest’anno, gli ostacoli all’integrazione si sono sempre più abbattuti. “L’andamento del welfare italiano ha fatto sì che molti lavori siano sempre più appannaggio dei migranti perché gli italiani non li vogliono fare, questo in particolar modo nel settore dell’agricoltura e dei servizi alla ristorazione, settori nei quali i migranti sono divenuti risorse fondamentali”, spiega Agostino Sella, Presidente di Associazione Don Bosco 2000. In alcuni paesi, dove da anni si lavora per favorire i processi di integrazione in maniera efficace, i risultati appaiono lampanti. È il caso di Piazza Armerina, paesino in provincia di Enna che conta appena 20mila abitanti. Nell’anno 2022 l’Associazione Don Bosco è riuscita a far avere 35 contratti di lavoro con aziende locali ai ragazzi migranti del centro Sai che gestisce: un dato importante in rapporto alla popolazione. Inoltre due ragazzi ex beneficiari di accoglienza sono riusciti a comprare casa. Questo significa che, dal 2011 – data di apertura del centro ad oggi – da una prima accoglienza si sta passando a seconde generazioni di persone che si sono integrate e vi risiedono stabilmente. “Tuttavia rimangono degli ostacoli” chiosa Agostino, “per esempio è molto più semplice integrare ucraini che africani. Non tanto per una questione di tipo culturale, perché entrambi hanno usanze molto diverse da quella italiana, ma, mi dispiace dirlo, il colore della pelle è ancora una barriera. Sotto questo punto di vista l’Italia deve lavorare ancora molto, penso alla Francia, all’Inghilterra dove convivono mescolanze di culture e colori a cui dovremmo ispirarci”.
1 www.openpolis.it
2 www.lavoro.gov