Dopo un mese di missione in Senegal, nel villaggio di Velingara Pont, Marco Canzonieri racconta le sue emozioni tutte d’un fiato. Vale la pena di leggerle per capire cosa significhi costruire un progetto di sviluppo per uno dei villaggi più poveri del Senegal. Grazie Marco per il tuo impegno!!!
“Sono rientrato da qualche giorno in Italia, al mio bel paesello e pian pianino sto riprendendo i ritmi di sempre. Capita di incontrare persone che, sapendo della mia esperienza ( non mi piace chiamarla missione umanitaria, queste sono altre, di diversa intensità e durata) mi chiedono, credo anche superficialmente, se sto soffrendo il famoso “mal d’Africa”. Dico superficialmente perché a mio avviso, alcuni, non comprendono bene cosa vogliano chiedere con questa espressione…è un po’ come a chi torna dalla Francia, si chiede se è vero che non ci sono i bidet, oppure a chi torna dalla Finlandia e si chiede del prodotto locale più famoso: la bellezza delle donne. Io non riesco a rispondere a questa domanda. Se per ‘mal d’Africa” si intende la nostalgia che si prova ad aver lasciato quei posti, forse probabilmente si! Ma quello che più sta condizionando queste mie giornate è pensare a ritroso alle persone con cui sono stato in contatto per un mesetto circa. Penso al disagio, al malessere, alla mancanza delle primarie necessità di vita…tutto questo affrontato dagli stessi con il sorriso e l’allegria che contraddistingue questi villaggi. Si fa tanto parlare di diritti umani, diritti fondamentali che, per fortuna, nel nostro Continente sono abbastanza presenti tanto da far nascere sempre nuovi diritti che non sempre si sposano con l’essenza autentica del vivere umano. Ecco, nei villaggi dell’entro terra senegalese, tutto questo è inesistente. Non esistono diritti tutelati, non esistono giornate dedicate a chissà cosa, non esiste la preminenza dell’essere umano. Sempre in questi giorni continuo a paragonare di continuo tutto quello che ho nel mio mondo al loro e, credetemi, fa soffrire tanto. Sono un uomo, un marito e un padre ma chissà se in altre condizioni sarei riuscito ad adempiere a queste responsabilità. Perché è facile prendersi cura della propria famiglia quando non manca nulla e, alla minima richiesta, si adempie. Ditelo a Sibide, Ousman, Sedouh, ed altri uomini, mariti e padri se è facile occuparsi della propria famiglia Quando non si hanno le possibilità di garantire da mangiare, le minime condizioni igieniche, l’aiuto nell’affrontare le malattie o semplicemente una dimora per lo meno accogliente. Così diventa tutto più difficile. E quando questi uomini, mariti e padri, decidono di emigrare in Europa lo fanno esclusivamente per donare un minimo di agio alla propria famiglia. A proposito di questo, spesso mi è stato chiesto come era l’Italia. Ho sempre tergiversato perché in realtà avrei voluto dire che il nostro Paese è bello, bellissimo, meraviglioso ma che purtroppo negli ultimi anni e soprattutto in tempi recenti, si respira una brutta aria. Avrei voluto dire, amico mio africano, lo so che è difficile vivere nella tua terra, ma qui ancora conservi la dignità di uomo africano, qui sei qualcuno per la tua comunità e soprattutto sei un punto di riferimento per la tua famiglia mentre se vieni nel nostro bel paese verresti etichettato come “risorsa”, “mao mao” o “negro di merda”, oltre ad esser utilizzato da una certa politica che fa dell’odio per i migranti il proprio cavallo di battaglia, che catalizza quello stesso odio per riempire le pance di chi, anche in Italia, soffre la povertà. Amico mio, diventeresti l’alibi per i tanti problemi irrisolti nel nostro bel Paese! Resta lì dove sei, costruisci il tuo futuro, conserva la tua dignità!”