NEL SAHEL L’INFANZIA DIMENTICATA DEI BAMBINI SOLDATO: L’EMERGENZA DENTRO E FUORI DAL CONFLITTO
Il 12 giugno ricorre la giornata mondiale contro il lavoro minorile. Una pratica che, come evidenziato nei precedenti numeri di Migrazioni, è lesiva dei diritti umani di milioni di bambini nel mondo. In Mali, secondo quanto riportato dalle Nazioni Unite, nel periodo tra il primo aprile 2020 e il 31 marzo 2022, 901 bambini di età compresa tra i 4 e i 17 anni sono stati reclutati e impiegati come soldati.
Secondo un rapporto Unicef pubblicato nel marzo 2023, più in generale dieci milioni di bambini in Burkina Faso, Mali e Niger necessitano di assistenza umanitaria – il doppio rispetto al 2020 – a causa dell’intensificarsi del conflitto, che si ripercuote anche nelle zone limitrofe a causa delle ostilità tra gruppi armati e forze di sicurezza nazionali che si estendono oltre i confini.
Il conflitto tra il gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Jnim) affiliato ad al-Qaeda e lo Stato islamico nel Grande Sahara (Isgs), infatti, è tra i più cruenti al mondo. Jnim e Isgs condividono origini comuni nella rete di al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi): l’Isgs si è formato nel 2015 dopo essersi separato da Al-Mourabitun affiliato ad al-Qaeda, sebbene il suo rapporto con le controparti allineate con Aal-Qaeda sia rimasto caratterizzato da collusione, coesistenza e accordi territoriali taciti. Formato nel 2017, lo Jnim ha riunito diversi gruppi jihadisti disparati – tra cui la filiale del Sahara di Aqmi, Al-Mourabitoun, Ansar Dine e la Katiba Macina in un conglomerato saheliano – e ha anche incorporato il gruppo jihadista burkinabé Ansarul Islam.
L’esercito del Mali ha reclutato 70 minori di 15 anni fra aprile e la fine del 2020 e 89 nel primo trimestre 2022. L’arruolamento è durato da pochi giorni a cinque anni, inoltre a fine 2022, quando è stato scritto il Rapporto delle Nazioni Unite, erano in servizio ancora 88 minorenni. Un centinaio sono stati addestrati all’uso di armi, altri come autisti, corrieri, guardie, impiegati ai posti di controllo, in ruoli domestici ed anche per fini sessuali. Del resto, ricordiamo che la guerra colpisce un’aerea già fortemente provata da crisi climatica e alimentare. Motivo per cui l’assenza di mezzi di sussistenza, di prospettive di un futuro migliore e l’insicurezza alimentare, fanno sì che talvolta siano addirittura le famiglie a incoraggiare i bambini a unirsi alle milizie.
Il drammatico fenomeno non colpisce solo i bambini maschi, anche le ragazzine; almeno 150 di loro, di cui 94 minori di 15 anni sono state reclutate ed utilizzate, con un notevole aumento rispetto al passato. Almeno 16 hanno subito violenze sessuali, per la loro appartenenza ai gruppi armati, mentre le altre sono state utilizzate in cucina per sfamare i combattenti e per cercare la legna. Alcuni minori sono stati catturati dall’esercito del maliano durante operazioni militari, su un totale di 38 minori 25 sono stati portati in strutture protette statali, come previsto dal protocollo relativo alla liberazione e al trasferimento dei minori associati ai gruppi armati, firmato nel 2013. Altri 13 ragazzi, tuttavia, sono stati detenuti dalle autorità in violazione di tale accordo.
I conflitti hanno sconvolto anche i sistemi sanitari e scolastici in Mali e interessa ben 240 casi: tanti piccoli sono stati privati dei diritti fondamentali alla salute e all’istruzione. Dalla fine di marzo 2022 nel Paese risultano chiuse oltre 1.700 scuole.
Si è registrato anche un notevole aumento di bambini uccisi o mutilati, soprattutto durante gli attacchi di gruppi armati contro i civili. La presenza di ordigni esplosivi improvvisati (IED) e residuati bellici esplosivi (ERW) è stata una delle principali cause di morte o lesioni che hanno colpito 94 dei 408 bambini accertati come vittime di questa violazione.
Ma l’emergenza non riguarda solo la liberazione di questi bambini. Fondamentale è la loro reintegrazione nella società. Reinserire in una vita il più possibile normale ragazzini a cui è stata negata l’infanzia e che hanno conosciuto gli orrori della guerra non è facile, dichiara Unicef. Tra l’altro, nell’esercito, spesso essi si sono abituati a tenori di vita molto più alti di quelli che hanno nelle loro case. Ragazzini arruolati magari a 10/11 anni e che lasciano l’esercito ormai quindicenni o sedicenni, si ritrovano di nuovo sui banchi di scuola insieme a ragazzini molto più piccoli e si sentono infastiditi, a disagio. Spesso, riconosciuti nei loro vecchi villaggi come ex soldati, e quindi come assassini, subiscono ritorsioni, maltrattamenti, linciaggi.