NESSUN ARGINE PUÒ CONTENERE I BISOGNI DI CHI FUGGE DALLA FAME O DALLA GUERRA

I migranti ci sono stati, ci sono e ci saranno, anzi aumenteranno nei prossimi anni in cui il continente Africano si impoverirà sempre di più a causa delle politiche dei paesi ricchi che continuano a depredare le materie prime dei paesi poveri, come avviene con il cobalto o con l’uranio. Occorre aumentare i fondi per la cooperazione e organizzare formazione pre-partenza a coloro i quali vogliono emigrare in Europa e, contemporaneamente, gestire una politica serena dei flussi. L’Europa ha bisogno dell’Africa per colmare la mancanza di manodopera in molti comparti dell’economia e l’Africa ha bisogno dell’Europa per crescere e svilupparsi. Occorre operare affinché le migrazioni non siano più un fenomeno divisivo, bensì inclusivo tra i popoli, come Don Bosco 2000 sta facendo da anni attraverso i corridoi culturali e i progetti di cooperazione circolare. Prendiamo coscienza della ricchezza che viene da chi è straniero e abbandoniamo l’anacronistico tentativo di chiudere i confini. 

Il viaggio verso l’Europa è un fenomeno di lungo corso (che si può considerare “stabile” sin dall’inizio degli anni’90) e che quindi ha consolidato una cultura di consuetudine alla migrazione irregolare, particolarmente radicata e quindi difficile da scardinare. Esiste tra le comunità di migranti potenziali una vera e propria “cultura della migrazione”, alimentata in particolar modo da chi è già partito, che fa percepire il viaggio, per quanto pericoloso, molto promettente per un futuro migliore. Un caso su tutti: secondo i dati raccolti in occasione degli ultimi censimenti diffusi nel 2022, il Senegal conta 17.316.449 persone, con un’età media di 17,9 anni, e si caratterizza per la sua giovinezza. Una percentuale di giovani che potrebbe costituire un altissimo potenziale per lo sviluppo del Senegal, ma che si confronta con una serie di criticità che le impediscono di integrarsi nel mercato del lavoro. Basti considerare che la fascia della popolazione di età compresa tra i 15 e 35 anni detiene un elevato tasso di disoccupazione e il 90 % dei giovani aventi un impiego appartengono al settore informale, spesso precario e privo di protezione sociale. La mancanza di opportunità lavorative possono essere rinvenute in due fattori principali: un’economia strutturalmente vulnerabile (scarsa produttività, competitività, assenza di infrastrutture, limitato accesso ai fattori di produzione, vulnerabilità del settore agricolo, difficoltà di accesso alla proprietà terriera, difficoltà di accesso ai servizi di assistenza tecnica e finanziaria); l’inadeguatezza della qualità della formazione dei giovani rapportata al bisogno di manodopera qualificata espresso dalle imprese.
L’istruzione è un altro settore particolarmente debole e caratterizzato da discriminazione di genere (l’accesso all’educazione rimane appannaggio maschile), nonché da mancanza cronica di strutture e personale adeguate e permanenti a livelli differenti.
Le disuguaglianze, poi, rappresentano uno dei fattori determinanti per spiegare le migrazioni. L’osservazione diretta dei villaggi africani dai quali provengono la maggior parte dei migranti alla volta delle coste italiane, insegna che le disuguaglianze vanno lette non solo in termini di differenze di reddito ma soprattutto rispetto al soddisfacimento dei diritti umani, sociali, politici, come l’accesso ai servizi di base, alla salute, all’istruzione, alla sicurezza personale, alla libertà di esprimersi e di partecipare alla vita politica. Insomma, rispetto a tutte quelle condizioni e opportunità di vita e lavoro dignitoso, di realizzazione personale, di prospettive per la famiglia, che sono drammaticamente assenti o molto limitate dove si è nati. Le condizioni delle comunità di origine rappresentano dunque il fattore di disuguaglianza più importante che porta alla necessità di migrare. Pertanto, la lotta alle disuguaglianze significa ridurre le differenze di condizioni di partenza e opportunità tra paesi ricchi e poveri, tra periferie e città più sviluppate. Si tratta di lavorare per far convergere i diritti di accesso a risorse e abilitazioni necessarie per vivere bene, riducendo le differenze di condizione e di opportunità. “La mobilità umana è una dinamica dal basso per cercare di rispondere a queste disuguaglianze. Una mobilità circolare che tenta di sanare lacune di partenza per trasformarle in opportunità di sviluppo, focalizzando piuttosto l’attenzione sull’importanza di costruire politiche per una mobilità regolare”, dichiara Agostino Sella, Presidente di Associazione Don Bosco 2000.

MIGRAZIONE CIRCOLARE + COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO: NASCE LA COOPERAZIONE
CIRCOLARE 

All’inizio degli anni 2000, l’Unione Europea ha sottolineato la necessità di intraprendere un “approccio globale”, visto come la dimensione esterna di una politica di migrazione dell’Unione Europea, basata su un autentico partenariato con i paesi terzi, che affronta in modo esaustivo ed equilibrato tutte le questioni relative alla migrazione e all’asilo. La migrazione circolare è emersa come la soluzione che, meglio di altre, è in grado di tener conto, contemporaneamente, delle problematiche relative allo sviluppo dei paesi di emigrazione, della necessità di massimizzare i profitti e di ridurre i costi dell’immigrazione per i paesi di accoglienza e della questione relativa alla difesa dei diritti umani dei migranti. Sotto il profilo della definizione, il Glossario dell’European Migration Network definisce la migrazione circolare come “la ripetizione della migrazione da parte della stessa persona tra due o più Paesi”. Nella comunicazione della
Commissione Europea al Parlamento Europeo del 16/05/2007, vengono individuate due forme di mobilità circolare: la migrazione circolare di cittadini provenienti dai paesi terzi ma che sono già collocati nell’Unione Europea; la migrazione circolare di cittadini che provengono da Paesi terzi. In ogni caso, il fenomeno della migrazione circolare garantirebbe una triplice vittoria: per il paese di provenienza dei migranti, il paese di arrivo del migranti e il migrante stesso.
Coniugando il concetto di migrazione circolare alla cooperazione allo sviluppo, che si fonda, da una parte, sull’“esigenza solidaristica si garantire a tutti gli abitanti del pianeta la tutela della vita e della dignità umana” e, dall’altra, rappresenta un “metodo per instaurare, migliorare e consolidare tutte le relazioni tra i diversi Paesi e le diverse comunità”, Associazione Don Bosco 2000 ha elaborato il concetto, è l’ha declinato nella pratica, di cooperazione circolare. Un processo attraverso cui i migranti, dopo aver vissuto in Italia, tornano nei loro paesi di origine trasferendo il know-how che hanno maturato durante la loro permanenza e poi rientrano in Italia per diffondere gli esiti del progetto e sensibilizzare la diaspora sulle opportunità di sviluppo in loco. In questo modo anche la cooperazione diventa circolare, attivando dei cicli di andata e ritorno nei quali anche i migranti stessi diventano cooperanti.
Dall’esperienza acquisita attraverso la gestione dei progetti pilota di Associazione Don Bosco 2000 in Senegal e Gambia, infatti, la figura del migrante, inteso come cooperante, come “mediatore” assume una rilevanza importante. Egli infatti diviene non solo ponte fra culture ma anche operatore di sviluppo e “strumento” della cooperazione internazionale, a nostro avviso, uno dei punti deboli della cooperazione internazionale negli ultimi decenni è stato quello di lavorare per progetti in cui gli interventi finanziati dai donors dei paesi ricchi hanno avuto un inizio ed una fine e una durata dai due ai tre anni, con la grande difficoltà di impiantare interventi di lungo periodo che coinvolgessero direttamente le comunità locali, trasferendogli il know how di gestione”, spiega Sella, “nell’ambito della Cooperazione tradizionale, accade spesso, infatti, che quando gli interventi finiscono rimangono sul territorio strutture e impianti spesso anche importanti ma che i destinatari non riescono a gestire perché privi delle competenze tecniche e dell’esperienza per farlo. Si accumulano cosi opere fisiche che però non hanno un’anima”.

IL PROGETTO PILOTA DI
ASSOCIAZIONE DON BOSCO 2000
IN SENEGAL

L’azione in corso di svolgimento in Senegal punta a creare un’occasione di sviluppo locale, coinvolgendo i giovani senegalesi in attività lavorative tali da scoraggiare la migrazione. La chiave di volta del processo è il coinvolgimento di risorse umane che ricalcano la nuova prospettiva della cooperazione circolare, così come descritta sopra: il migrante cooperante. Il giovane migrante ha preso parte alle varie fasi del progetto fornendo elementi fondamentali alla comprensione del contesto al momento dello studio di fattibilità e di redazione dell’intervento e oggi gestisce le attività previste dal progetto nel luogo nel quale è nato.
A sostenerlo nell’implementazione del progetto, lo staff italiano di Don Bosco 2000 in Senegal che cura attività specifiche, educative, formative, imprenditoriali. Lo staff italiano è composto anche da operatori di strutture di accoglienza che potranno apprendere quanto necessario sulla realtà del luogo per migliorare la qualità dei servizi di accoglienza in Italia. Contestualmente, sono stati instaurati rapporti di partenariato sul territorio senegalese con enti ed istituzioni a pieno titolo coinvolti nel processo di creazione di nuove imprese. I protocolli d’intesa già sottoscritti e i contatti istaurati rappresentano la base sulla quale costruire un modello imprenditoriale capace di individuare risorse sul territorio e metterle nelle condizioni di produrre un impatto economico e sociale positivo sulla comunità locale. Il progetto pilota ha avuto il merito di far emergere delle intuizioni, dei bisogni (del posto) sui quali intervenire e soprattutto ha messo in luce come intervenire. È emersa infatti con forza la potenzialità che il migrante di ritorno portava con sé: conoscitore dei bisogni delle persone e del territorio, possessore di un modello lo lavorativo/imprenditoriale da emulare (quello occidentale) che lui stesso aveva avuto modo di esperire durante la sua permanenza in Italia, operoso nel voler trasferire il know how acquisito in investimenti a favore della sua comunità di provenienza.
Il progetto ha permesso, da novembre 2016 ad oggi, il rientro nelle comunità di origine di 5 migranti circolari, 3 in Senegal e 2 in Gambia; l’apertura di una sede di Don Bosco 2000 a Tambacounda per dare un luogo e una identità alla realtà creata, una hub salesiana che diventa luogo di educazione, formazione, informazione e scambio, volano di idee imprenditoriali a sostegno dello sviluppo locale, incubatore sociale di impresa;
riconoscimento legale dell’Associazione in Senegal e in Gambia; esperienza di migrazione circolare per 20 operatori dei centri di accoglienza dell’associazione Don Bosco 2000 che hanno avuto la possibilità di conoscere direttamente i luoghi da cui partono i beneficiari del loro lavoro quotidiano in Italia; avviati due cicli di formazione nell’ambito dello start up di impresa a favore di 33 corsisti, nell’area rurale di Tambacounda, in collaborazione con le ONG VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) e Coopermondo, attive nella cooperazione internazionale.

“Il tema del trasferimento delle competenze è cruciale”, spiega Agostino, “ed è un esperimento che ci sta riuscendo molto bene. A maggio ci raggiungerà in Italia, per la seconda volta, Amarà Touré, che coopera con noi a Tambacounda. Resterà tre mesi per un progetto di formazione agricola in modo da comprendere insieme come alcune tecniche, in particolare il sistema di acquaponica che già è attivo a Villarosa, possa essere replicato anche nel suo villaggio”. Il progetto rappresenta l’aspetto generale, la summa, di quello che quotidianamente l’Associazione Don Bosco 2000 cerca di fare con i beneficiari dei progetti di accoglienza: mettere al centro dell’azione la dignità morale e materiale delle persone, costruendo reti cooperative e solidali, lavorando nell’interesse generale, per creare condizioni di sviluppo rivolte al pieno benessere e all’autonomia delle persone. Attraverso il progetto di sviluppo, attraverso la formazione e il Vocational Training si prova a dare una risposta al fenomeno del mismatch tra livello di preparazione, aspettative del giovane e mercato locale.

  • 1 Fonte: population.un.org
  •  2 Fonte: R. La Cara, A. Sella, “La cooperazione circolare. Dal progetto pilota al modello teorico”, Roma, 2022. 
  • 3 F. Pastore, “Circular Migration: Background note for the Meeting of Experts on Legal Migration. Meeting of experts in legal migration,
    preparatory to the 2nd Euro-African ministerial cinference on legal migration and development”, Rabat, 4-5 March 2008, p. 1. 
  • 4 Fonte: www.emn.europa.eu
  • 5 “Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee of the
    Regions on circular migration and mobility partnerships between the European Union and third countries”, COM (2007), 248.
    6 Fonte: Ministero degli Affari Esteri.