IMPIANTI IDRICI NELLE ZONE DI GUERRA: IL RISPETTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO NON RIMANGA SOLO CARTA

Le problematiche relative alla crisi idrica mondiale sono state analizzate nei nostri precedenti articoli. Cambiamenti climatici, siccità, cattivo sfruttamento delle acque freatiche sono fattori che mettono a rischio la sopravvivenza di svariate popolazioni nelle aree più povere del mondo. E poi ci sono le guerre, che rimettono tutto in discussione. È il caso dell’Ucraina, dove a causa delle infrastrutture distrutte, le famiglie di Kherson sono costrette a raccogliere acqua dalle pozzanghere e fanno code chilometriche per acquistare acqua potabile e combustibile per il riscaldamento. 1 Il diritto internazionale dei conflitti armati rende immuni dalle operazioni militari i beni di natura civile, che non possono essere oggetto né di attacco né di rappresaglia, laddove la definizione di “bene di natura civile” è desumibile in negativo dall’art. 52, par. 1 del Primo Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 1949: “(…) sono beni di carattere civile tutti i beni che non sono obiettivi militari(…)”. Le infrastrutture idriche rientrano indiscutibilmente tra i beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile (art. 54) e non possono essere oggetto di attacchi nemmeno se non colpiti volutamente, ai sensi dell’art. 51 che vieta il ricorso ad “attacchi indiscriminati”, ossia atti a colpire indiscriminatamente obiettivi militari e beni di carattere civile, come quelli che non sono diretti contro un obiettivo militare determinato, quelli che impiegano mezzi o metodi di combattimento che non possono essere diretti contro un obiettivo militare determinato o i cui effetti non possono essere limitati.Nel 1997, inoltre, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la “Convenzione sul diritto relativo alle utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali per scopi diversi dalla navigazione” (ratificata dall’Italia il 31 agosto 2012), al cui articolo 29 stabilisce che “I corsi d’acqua internazionali e le relative installazioni, strutture e altre opere godranno della protezione accordata dai principi e dalle norme del diritto internazionale applicabili nei conflitti armati internazionali e non internazionali e non saranno utilizzati in violazione di tali principi e regole”. Il diritto internazionale, dunque, si è dotato di strumenti atti a prevenire o quantomeno limitare i danni che un conflitto in corso può arrecare alla popolazione civile. Tuttavia, la realtà appare ben diversa. L’ultimo conflitto tra Russia e Ucraina ne è l’esempio più eclatante, ma non il solo. Nelle guerre civili che oggi rappresentano la maggior parte dei conflitti armati nel mondo, l’uso dell’acqua da parte dei partiti belligeranti costituisce una grave minaccia per la popolazione interessata. Una potenza occupante può costringere in svariati modi le popolazioni originarie a lasciare i propri terreni: può vietare in tutto o in parte alle persone nei territori occupati di irrigare la terra, di utilizzare le risorse idriche e i corsi d’acqua per coltivare colture o gestire o sviluppare le loro aziende; può impedire alla popolazione occupata di sottrarre la superficie o le acque sotterranee o raggiungere le falde acquifere; e può imporre quote di pompaggio. O ancora, nel caso di bombardamenti rivolti contro installazioni o opere idriche, l’acqua può risultare contaminata e, a causa dei ritardi nelle operazioni di manutenzione che un conflitto in atto comporta, esiste un rischio evidente di carenze ed epidemie. Già nel 2019, Unicef dichiarava che a livello mondiale, in arre instabili e colpite da conflitti, 420 milioni di bambini non dispongono di servizi igienici di base e 210 milioni di bambini non hanno un accesso all’acqua potabile. Una situazione estremamente grave che non può essere che peggiorata a seguito della distruzione multipla di infrastrutture civili in Ucraina. Solo a Kherson – denuncia Save the Children – 165mila persone, di cui 80mila bambini, vivono in condizioni critiche, senza acqua ed elettricità da più di due settimane: una condizione che perdurerà per altre settimane, se non mesi, prima che tutti i servizi essenziali torneranno a funzionare a pieno regime. Associazione Don Bosco 2000, che ha accolto ad oggi circa sessanta ucraini all’interno dei propri centri di accoglienza, si unisce alla richiesta di Save the Children affinché vengano attuate le norme di diritto internazionale umanitario e di tutela dei diritti umani, nel pieno rispetto dei civili e dei loro beni.

1 www.savethechildren.it |

2 N. Ronzitti, “Diritto internazionale dei conflitti armati”, Torino, 2011, p. 247 e ss. |

3 www.peridirittiumani.com |