Il concetto di povertà educativa – inteso come problematica a sé stante rispetto alla povertà di bambini ed adolescenti in termini economici, ossia legata al reddito delle famiglie di appartenenza – si è affacciato, seppure ancora debolmente, nel discorso pubblico grazie alla definizione proposta da Save the Children nel 2014. Secondo l’Organizzazione per i diritti dei minori, la “povertà educativa” è da intendersi come “la privazione da parte dei bambini, delle bambine e degli/delle adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”.¹
D’altro canto, l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile inscrive nell’Obiettivo 4 la sensibilizzazione degli Stati europei a favorire un’istruzione di qualità, che sia “equa e inclusiva” e in grado di “promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti”. Tutte tematiche che se rappresentano una sfida per il contesto europeo – non immune da disuguaglianze sociali che si ripercuotono sulla scolarizzazione – si tramutano in utopia in altre regioni del mondo.
Secondo l’Unicef, ancora oggi quasi una ragazza adolescente su tre nelle famiglie più povere al mondo non è mai andata a scuola. Il 44% delle ragazze e il 34% dei ragazzi appartenenti al 20% delle famiglie più povere non ha mai frequentato o ha abbandonato la scuola primaria.²
In alcune aree dell’Africa Occidentale, come nella regione di Tambacounda, in Senegal, i minori versano in condizioni di estrema povertà, costretti a mendicare per strada per sostentare sé stessi e le proprie famiglie. La condizione di disumano sfruttamento a cui bambini e bambine talibé ³ sono sottoposti è stata documentata da varie organizzazioni, tra cui Human Rights Watch, la quale ha riportato casi di minori che vivono nelle daaras, scuole tradizionali coraniche, i quali sono costretti a chiedere l’elemosina per conto dei loro insegnanti, in cambio di una quota giornaliera di riso, zucchero o soldi. Negli ultimi anni, diversi bambini sono stati percossi, incatenati o abusati sessualmente mentre chiedevano l’elemosina. Sono stimati, in questo momento, circa 50.000 bambini tenuti in queste scuole. Sebbene il governo senegalese abbia preso l’impegno, a partire dal 2016, di “togliere i bambini dalle strade”, ancora oggi i buoni propositi appaiono vanificati dall’assenza di una regolamentazione precisa delle attività delle scuole coraniche nonché dell’avvio di azioni giudiziarie volte a punire gli insegnanti colpevoli di violenze.
Oltre alle problematiche di cui si è discusso finora, la povertà educativa nella regione di Tambacounda viene esacerbata dalla presenza di altri fattori collaterali, quali il malfunzionamento delle infrastrutture e dei trasporti che contribuiscono all’isolamento dei villaggi rurali e rendono estremamente complicato per i giovani raggiungere le strutture adibite all’insegnamento. Tali difficoltà provocano inevitabilmente l’abbandono scolastico da parte di bambini e bambine che ripiegano sul lavoro agricolo accanto ai propri genitori o scelgono di dedicarsi alle attività domestiche. Nel caso delle ragazzine, poi, l’usanza dei matrimoni in giovane età – e delle conseguenti gravidanze precoci – non fa che limitare ancor più il prosieguo del percorso di scolarizzazione. L’Associazione Don Bosco 2000 contribuisce alla riduzione della povertà educativa in Senegal attraverso progetti di cooperazione che vanno dalla distribuzione di cibo e medicinali ai bambini delle daaras alla costruzione di edifici che consentano un’istruzione dignitosa. Dal 2016 vengono distribuiti i kit scuola. Nell’aprile 2021 a Pakali, villaggio poverissimo nel cuore della savana senegalese, l’Associazione ha realizzato una scuola che possa definirsi tale: con un tetto, gli infissi, il pavimento e banchi recapitati direttamente dall’Italia. Un nuovo importante traguardo è l’istituzione di un oratorio a Velingara Pont, inaugurato il 5 agosto 2022: un punto di ritrovo per centinaia di bambini che vivono nei villaggi intorno a Tambacounda; un’occasione per tutelare quel diritto all’infanzia e alla spensieratezza troppo spesso negato.
1 Fonte: Save the Children, “La lampada di Aladino. L’indice di Save the Children” per misurare la povertà educativa e illuminare il futuro dei bambini in Italia”, Roma, 2014. |
2 Fonte: www.unicef.it |
3 Talibé in wolof, la lingua parlata prevalentemente in Senegal, significa “discepolo”. I talibé, infatti, sono i discepoli delle scuole coraniche (Darah). |
4 Fonte: Human Rights Watch, “These Children Don’t Belong in the Streets” A Roadmap for Ending Exploitation, Abuse of Talibés in Senegal, 2019