QUALCOSA DI CUI (S)PARLARE: IL FENOMENO MIGRATORIO DAI SALOTTI TELEVISIVI ALLA REALTÀ OPERATIVA

L’accanimento nei confronti di chi salva la vita è una montatura mediatica enorme, nell’ultimo periodo –ormai parliamo, ciclicamente, di anni – assistiamo a teatrini televisivi che sono diventati parte della quotidianità. Il vero problema italiano, ed europeo, non sono certo i migranti, ma prendere queste persone come capri espiatori è un modo per distogliere l’attenzione da altre problematiche e riempire le urne. Dedichiamo questo articolo di Migrazioni a una riflessione sul tema delle migrazioni che ci coinvolge da vicino e su cui non possiamo astenerci dal ribadire il nostro punto di vista. Sentiamo parlare di “chiudere le frontiere per difenderci dai clandestini”, uno slogan che, ripetuto a tamburo battente si è insinuato nelle teste di molti italiani.

Ma come possiamo definire “clandestino” chi fugge dalla guerra, dalla fame, chi vuole garantire alla propria famiglia un futuro migliore? Il vero problema oggi è che sulle coste della Libia, così come di altri Paesi del Nord Africa ci sono 700mila persone che non aspettano altro che di arrivare in Europa per sfuggire dalla guerra e dalla fame, dalla siccità. Queste persone passeranno all’altra sponda del Mediterraneo con o senza le ONG perché si tratta di salvare le proprie vite, seppure con la consapevolezza di rischiare di morire allo stesso tempo. Questa situazione va gestita, ma non con accuse e messaggi denigratori rivolti a chi salva la vita in mare. Nel mondo esiste una forbice che si sta aprendo sempre di più: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. ln Africa al momento ci sono un miliardo e 200 milioni di persone e da qua a trent’anni la popolazione arriverà a 2 miliardi e mezzo, il mondo arriverà a 10 miliardi di persone e gli africani saranno il 30% della popolazione mondiale. A nessuno conviene lasciare l’Africa in queste condizioni. È certo, tuttavia, che la mala gestione, o meglio la non-gestione, del fenomeno migratorio fa sì che le persone spinte dalla necessità di partire si rivolgano a canali illegali, a discapito delle persone che partono e a vantaggio delle organizzazioni criminali che gonfiano le proprie tasche.. Tutti dicono di aiutare i migranti a casa loro, ma i soldi della cooperazione circolare sono al minimo storico, le ONG in Africa non vengono aiutate per fare il loro lavoro, la cooperazione funziona pochissimo, noi continuiamo a depredare l’Africa dell’uranio, del cobalto, del gas, continuiamo a prenderci tutto e poi ci stupiamo che le persone vogliano cercare riparo altrove. Solo alleviando le condizioni di vita del popolo africano alla base – ma più in generale delle aree più povere del mondo – allora si può alleviare il problema della migrazione irregolare e della tratta di esseri umani che ad essa è connessa. Infatti, le disuguaglianze sociali e le vulnerabilità economiche sono una leva per i trafficanti, e la crisi da Covid-19 non ha fatto che esacerbarle. La pandemia, infatti, ha reso più difficoltoso l’accesso delle vittime alla giustizia, all’assistenza e al sostegno, nonché la risposta della giustizia penale a tale crimine. Parallelamente, i trafficanti hanno sviluppato nuove strategie criminali grazie all’utilizzo di internet e delle piattaforme digitali che vengono utilizzate per reclutare, sfruttare e pubblicizzare le vittime. Ma anche organizzare più velocemente e in modo anonimo il loro trasporto e alloggio, nonché nasconderne i proventi. Fermare questo business – che in Europa è in grado di generare 29,4 miliardi di euro di profitti in un solo anno – è estremamente complicato, sebbene la normativa internazionale sia dotata di strumenti ad hoc. Quello che si può fare è cercare di raggiungere le vittime, con il numero verde anti-ratta e con reti solide di sostegno – per convincere le vittime ad emergere dalla schiavitù e a farsi aiutare per crearsi una nuova vita. L’Associazione Don Bosco 2000 ha elaborato un approccio alla cooperazione allo sviluppo in cui i protagonisti sono beneficiari dei progetti di accoglienza dell’Associazione stessa, in un’ottica di “cooperazione circolare”. Un nuovo approccio alla cooperazione che si concentra sull’idea del “viaggio di andata e ritorno” del cooperante UE e del migrante cooperante come risposta alla fluidità del mercato del lavoro globale. I migranti circolari avrebbero così la possibilità di acquisire nuove capacità da spendere una volta tornati nel proprio Paese. La circolarità fornirebbe ai migranti gli strumenti per diventare agenti di sviluppo nel proprio paese, rivisitando così l’obsoleto concetto di cooperazione Nord-Sud a favore di una nuova prospettiva di transnazionalità nel paese d’integrazione e di origine.

1-Per un approfondimento tecnico sui temi trattai in questo articolo si rimanda ai precedenti articoli di Migrazioni, pubblici e liberamente
scaricabili sul sito www.donbosco2000.org, sezione News